Data: 21 luglio 2003.
Luogo: Valsàssina (Lecco).
Evento: Compleanno motociclista D.O.C.
Partecipanti: Dido (BMW R1150GS), Luca + Francesca (BMW R1150GS).

La partenza è fissata per domenica 21 luglio alle 09.00. Il luogo di ritrovo è Montecchio Maggiore (VI).


Salgo sul treno, l’ accendo e parto.
Considerando che ci dobbiamo trovare alle 12.00 nella località di Parlasco (LC), decidiamo a malincuore di percorrere la statale 11 fino a S. Martino B.A.(Vr), seguire per la superstrada 12 e, arrivati all' altezza del casello di Verona Nord, prendere l’ autostrada fino a Bergamo.

E’ caldo. Si suda. L’ autostrada è una noia.
Il treno fila via tranquillo, sembra non accorgersi dei 36°. Il binario mi culla dolcemente e invita a trovare riposo tra le braccia di Morfeo.
Meglio non distrarsi e fermarsi all’ autogrill per un caffè: l’ aria condizionata ci accoglie con il suo refrigerio e sveglia i nostri sensi assopiti.
Ma quale caffè? Io devo ancora fare colazione!! Succo di frutta e briosche, grazie.
Ci rivestiamo, prendiamo le ultime boccate d’aria fresca e ci ributtiamo nel catino infernale.

Percorriamo gli ultimi chilometri sognando la strada che ci aspetta: sulla cartina non si contano le curve. E una cartina è sempre schematica.

Usciamo a Bergamo e seguiamo le indicazioni per Lecco.
La strada, se possibile, sembra ancora più calda.
Il traffico s’intensifica e con esso aumenta la percentuale di “incapacidiguidareunmezzo”.
Il navigatore satellitare ci porta in centro a Lecco per poi proseguire per la Valsàssina: il contachilometri indica 200 km. fatti. Gli stessi per andare al Tonale.
Ma perché non ci siamo andati?

Solo ora mi ricordo che in Valsàssina ci aspetta un motociclista D.O.C.
Ha 95 anni e possiede ancora la sua moto. Una Moto Guzzi Stornello del 38.
Ci accoglie in Parlasco, in una casetta immersa nel verde e nel silenzio della valle.
Ci guarda quasi stupito. Forse non capisce perché delle persone mai viste prima hanno fatto 200 km. per venire a fargli gli auguri.
Ma in fondo sa che i Motociclisti sono tutti amici tra loro. E’ felice e noi con lui.
Ci mostra orgoglioso la sua moto e ci racconta di quando la guidava a 140 km/h per le strade del Lario. La velocità non era un problema a quei tempi: il problema era fermarsi !!!
Accende lo Stornello e il monocilindrico risponde al comando del gas come appena uscito dalla fabbrica.
Ci dicono che quando ha dovuto smettere di andare in moto (a causa degli acciacchi dovuti all’ età) ha rifiutato di utilizzare lo scooter: “la moto deve essere in mezzo alle gambe del pilota, non intorno!!!”
Alla faccia del fair-play tra scooteristi e motociclisti (non me ne vogliano i primi).

E sembra che lo Stornello, con la sua faccia tonda e tranquilla, guardi le altre moto con aria paterna, come se sapesse di aver fatto il suo tempo, ma consapevole di aver contribuito allo sviluppo delle moderne motociclette.

Ma è tardi, abbiamo fame e dobbiamo sbrigarci: la strada per tornare è lunga.

Andiamo in un ristorante vicino e cerchiamo di contenere la nostra golosità, visto l’ abbondanza di portate che ci vengono offerte. Ma non c’è niente da fare. Quando portano il riso e la polenta non resisto, e parte un’ abbuffata da momentaneo abbiocco.
Purtroppo un incidente motociclistico proprio davanti al ristorante risveglia tutti quanti.
Un attimo di distrazione, una curva vista tardi, la poca esperienza e la moto va dritta.
Ma porca pippa: quando toglieranno quelle colonne di cemento armato dai bordi delle strade?
E’ mai possibile che un’ innocua uscita di strada possa diventare pericolosa per questo?
Il motociclista abbatte la colonna con il proprio corpo, ma sembra stia bene. La passeggera si frattura una caviglia, ma sta bene anche lei.
Certo, se al posto di maglietta-pantaloncini-scarpe di tela-casco anteguerra avessero avuto un abbigliamento più tecnico, qualche grattata se la sarebbero risparmiata.

Ma ora non c’è più tempo. Caffè, saluti all’ allegra combriccola e si rimonta sul treno. Si riparte. La rotaia è sempre la davanti, lucida, liscia e fedele.

Lasciamo Parlasco e ci dirigiamo verso Lecco.
Dopo pochi km. lasciamo la strada principale e svoltiamo a sinistra verso Vedeseta.

Pur essendo le quattro di pomeriggio l’ aria è ancora calda e umida. Siamo ancora troppo bassi per sentire il beneficio della quota.

La strada è gradevole, l’ asfalto in buone condizioni e il treno va. Sempre più veloce, sempre più sicuro.
Nei prati s’intravedono comitive di ragazzi o famiglie intere che tentano di sfuggire il caldo e la massa del Lario.
Ma l’ aria calda c’insegue e ingaggiamo una sfida su quelle strade tortuose e immerse nel verde.

Vedeseta, Taleggio, S. Giovanni in Bianco, Dossena, Zambla, Ponte Nossa, Clusone, P.sso della Presolana, Palline e Borno.
La strada è un susseguirsi di curve, salite e discese. Il bosco si alterna a campi in fiore, quasi a rincorrersi.
Passiamo attraverso una gola, formata dal torrente Enna, che ricorda le Gorge Du Verdon in Francia: la parete di roccia forma un tetto sopra le nostre teste, mentre la strada passa ora a destra, ora a sinistra del torrente, disegnando una serie infinita di esse.
Guardando fuori del finestrino si vedono gruppi di persone immerse nell’ acqua. Ormai stiamo salendo di quota e, complice la sera che avanza, l’ aria si rinfresca regalandoci quel refrigerio agognato poche ore prima.

Arrivati a Borno decidiamo di fare una sosta per riposarci. Sono le 19.00 e non ci sembra vero di essere partiti da tre ore. La strada tortuosa e i panorami incredibili ci hanno fatto dimenticare la stanchezza.
Un ghiacciolo, un tè freddo e un succo di pera con tre gocce d’amaretto di Saronno (ma, forse qualcuno la stanchezza l’ ha sentita….) e siamo pronti a ripartire.

Dopo pochi chilometri siamo sulla statale per Bergamo-Brescia. Proseguiamo a sinistra verso Breno, dal quale, a destra, si prende per P.sso CroceDomini.
La strada prende a salire in modo deciso. E’ stretta (in alcuni punti una macchina e una moto faticano a passare) e si snoda in mezzo al bosco.
L’ aria torna a farsi fresca e arrivati al passo, a quota 1892 si scende verso Bagolino.
La strada continua ad essere stretta e in alcuni punti diventa emozionante: lo strapiombo, l’ assenza di barriere e la vista dell’ intera valle fanno rallentare l’ andatura per godersi senza pericolo questa visione.

Nostro malgrado continuiamo a scendere, oltrepassiamo Bagolino e ci dirigiamo verso il Lago D’ Idro.
La strada, dopo Bagolino, diventa ampia e scorrevole.
Scendendo aumento l’ andatura, alzo appena la visiera e l’ aria tersa e pungente entra nella fessura e mi fa lacrimare. Ma non chiudo la visiera, dopo un po’ mi abituo e provo piacere nel sentire il viso rinfrescarsi.
Il sole stà ormai tramontando, le ombre si allungano, la strada offre dei rettilinei in cui si può osare di più.
Scendendo vedo il lago D’ Idro immerso nel tramonto, mi eccito e aumento ancora la velocità: il treno asseconda le mie manovre, non si scompone, e, anzi, anche lui sembra apprezzare la frescura e la strada.
La rotaia m’invita ad osare sempre di più, sono al settimo cielo, accelero ancora (ma non starò esagerando), la curva mi arriva incontro improvvisamente, freno, la ruota dietro inizia a saltellare, ma dov’è l’ ABS? Non è il freno che provoca il dimenarsi della ruota, ma il motore: ho scalato una marcia di troppo. I giri scendono, il treno di ricompone, entro in curva, lo lascio scorrere, accelero fino alla curva successiva e ricomincio da capo.
Sono al settimo cielo.
Presto, troppo presto arrivo alla fine del toboga e del divertimento.
A questo punto svoltiamo a sinistra per P.te Caffaro e pochi chilometri dopo aver passato la graziosa cittadina svoltiamo a destra per Storo, seguendo le indicazioni per la Val di Ledro.

E la strada inizia nuovamente a salire, tortuosa, con un asfalto dall’ ottimo grip.
Destra, sinistra, frena, accelera, tornante, rettilineo, dosso, pif-paf. Gli dei siano benevoli con chi ha progettato e costruito questa strada.
Ma ormai il buio ha scalzato la luce e per quanto il treno sia provvisto di fari supplementari il buon senso consiglia di usare prudenza.
Percorriamo tutta la Val di Ledro e scendiamo verso il lago di Garda.
Arrivati a Riva del Garda inizia la sofferenza: torme di turisti si apprestano al rientro, incolonnati, fermi, chiusi dentro scatole di latta infuocate, con ancora il ricordo della lunga fila fatta al mattino.
Pazzi. E dicono che i pazzi siamo noi motociclisti. Pazzi.
Da Riva a Mori il serpente d’auto non conosce interruzione.
Passato Mori il traffico si affievolisce, fino a scomparire una volta iniziata la salita verso Pian delle Fugazze.
La strada ormai è famigliare, aumento l’ andatura torna a salire e mi lascio dondolare da una curva all’ altra, fiducioso che il treno, sulla sua devota rotaia, non mi tradirà.
Arriviamo a Foxi e ci fermiamo a riprendere fiato al gasthof “Alla Lanterna”(www.lanternafox.com), un delizioso albergo per mototuristi, dove i motociclisti sono sempre i benvenuti.

Adesso è proprio tardi, sono le 11, e ci sono ancora 80 km. per arrivare a casa.
Scendiamo a valle e, una volta arrivati a Schio, saluto Luca e Francesca. Loro proseguiranno per Vicenza lungo la statale.

Mi dirigo verso Malo e, oltrepassato il paese, inizio a salire verso Priabona: sono pochi chilometri, al buio e con un asfalto che non dà molta confidenza. Ma quando faccio questa strada mi sento già a casa.

Finalmente arrivo davanti a casa mia, scendo dal treno.
E’ mezzanotte, da quando siamo partiti da Parlasco sono passate otto ore: sembra incredibile ma è così. Non sono stanco (probabilmente me ne accorgerò domani) e mi meraviglio.
Solo ora mi accorgo che il treno su cui ho viaggiato è il mio adorato …R1150GS.

Mi stupisco e sono disorientato.
Avrei giurato di averla vista la rotaia.

Ciao.
DIDOGS

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