" - LA
GRANDE ROTTA DELLE ALPI - "
di Manlio Monti
La Grande Rotta delle Grandi Alpi
Resoconto del viaggio, dal 29 Maggio al 2 Giugno 2004
Brevissima premessa per i non addetti ai lavori.
Questo viaggio è nato sotto l?egida del BMW Motorrad Club Romagna di
Forlì ed era aperto a tutti gli iscritti dei vari club d?Italia, ma
non solo. Chiunque amasse viaggiare in moto, nel senso di macinare chilometri,
soprattutto in montagna, e qualsiasi tipo di ?sottomarca? possedesse era il
benvenuto. Devo dire che a livello di divulgazione certe istituzioni preposte
di cui taccio il nome per non alimentare sterili polemiche, ci hanno un po?
snobbati. Nonostante ciò la ?forza? del programma è stata tale
che ha avuto un numero di adesioni ben superiore alle aspettative (questo
ci ha obbligato a malincuore a dire no a persone che non erano state adeguatamente
informate), adesioni che ci sono pervenute da mezza Italia e per rendere loro
onore, riporto qui di seguito l?elenco dei partecipanti e la loro provenienza:
12 Andrea Martello Bologna
13 Mario Panasci Bologna
19 Paolo Tullini Bologna
01 Germano Tamburini Cesena
02 Enrica Rubboli Cesena
06 Massimo Sensini Cesena
14 Walter Zoffoli Cesena
07 Massimiliano Zoli Forlì
08 Andrea Galassi Forlì
09 Antonio Spazzoli Forlì
11 Roberto Gaspari Forlì
20 Piertito Cerasoli Forlì
21 Claudio Cancellieri Forlì
22 Gabriele Partisani Forlì
23 Elisabetta Guidi Forlì
24 Matteo Matarese Forlì
25 Fausto Flamini Forlì
26 Roberto Zampiga Forlì
27 Franco Ghiddi Forlì
28 Roberto Fantini Forlì
33 Manlio Monti Forlì
34 Roberto Reggiani Forlì
15 Aldo Pedemonte Genova
16 Marina Demergasso Genova
05 Domenico Bollettini Grottammare
03 Giorgio Zironi Modena
04 Sara Ravasio Modena
31 Stefano Zandolin Padova
32 Daniela Mancin Padova
10 Valerio Tonucci Pesaro
17 Amelio Marchi Rimini
18 Mario Finato Rimini
29 Leonardo Rossi Rimini
30 Giancarlo Nisi Mira - Venezia
Premettendo che la molla è stata l?entusiasmo e la passione
per i lunghi viaggi, cose di questo genere spesso nascono per scommessa, a
volte per sfida. Quest?ultimo è il nostro caso. Non la solita sfida
ad effetto o da bar, ma qualcosa di più intimistico, forse la voglia
di misurare i propri limiti in un?impresa possibile e non estrema, impegnativa
ma non clamorosa. Ma sto perdendo il filo, volevo accennare alle motivazioni
?psicologiche? di questo viaggio e mi sono incartato, scusatemi.
L?interrogativo per noi promotori era: gliel?avrebbero fatta pochi dilettanti,
seppure con una certa esperienza, a guidare un plotone di motociclisti dalle
più disparate caratteristiche individuali, attraverso le creste montagnose
più alte d'Europa, senza farsi o fare del male?
Questa era la posta in gioco, la vera impresa. Ed è magicamente riuscita.
E? pur vero che c?è stata un?accurata pianificazione a tavolino (personalmente
mi confortavano recenti esperienze, la Grande Rotta l?avevo percorsa in su
e giù appena l?anno scorso) e grazie a ciò mi sono sentito di
proporre questo viaggio agli amici del club.
Il riscontro è stato positivo oltre la più rosea delle previsioni,
visto i commenti finali dei partecipanti, ma non vorrei che questo scritto
sembrasse un autoelogio.
Passo dunque a descrivere sommariamente l?avventura, anche se non prediligo
redigere diari pedissequi. Quando viaggio non annoto quasi nulla, ma butto
giù impressioni a memoria di solito quando sono impegnato in liberatorie
sedute fisiologiche. Per questo spesso i miei diari fanno cagare. Speriamo
che questo, oltre che come lassativo, sia apprezzato come ricordo dai protagonisti,
un ultimo, piccolo regalo, che mi sento di dover fare a questi magnifici,
eterni ragazzacci.
Sabato 29, Maggio 2004, la partenza.
Raramente il Piazzale della Vittoria di Forlì ha assistito,
alle otto di mattina, ad una tale concentrazione di grosse moto da turismo
perfettamente equipaggiate per le lunghe distanze. Soprattutto se si considera
che questo raduno è avvenuto dopo una nottata di diluvio biblico, talmente
forte che qualcuno si aspettava che da Viale Roma spuntassero i cornetti della
coppia di giraffe imbarcata dal signor Noè nella sua Arca.
Nonostante l?inclemenza del tempo, la puntualità degli iscritti è
stata impressionante, anche e soprattutto, di quelli provenienti da lontano.
E se il buongiorno si vede dal mattino, non poteva esserci esordio migliore.
Questo mi ha confortato da subito, se lo stesso spirito si fosse rinnovato
per tutti i cinque giorni, il successo sarebbe stato garantito.
Da parte mia m?ero preoccupato di far venire a documentare l?evento Teleromagna,
la TV locale, e Giorgio Sabatini, il fotografo ufficiale del Resto del Carlino,
per dare un crisma all?iniziativa e solleticare l?esibizionismo di tutti noi
partecipanti. Entrambi erano presenti, saprò poi che la TV ha mandato
il servizio la sera stessa nel notiziario locale, mentre il giornale chissà
quando, e se, lo pubblicherà. Li capisco, con tutto quello che succede
in questa turbolenta città, chissà se troveranno spazio per
una notiziola come questa.
Devo dire, con la punta di narcisismo che contraddistingue la maggior parte
dei possessori di maximoto, che il colpo d?occhio di queste venticinque possenti
macchine e dei loro superbardati piloti e passeggeri (le altre quattro ci
aspettavano lungo il percorso) era davvero imponente. Insomma, in barba agli
invidiosi, eravamo proprio belli a vedere. Dentro e fuori.
Personalmente, avendo l?onere di aver organizzato la grande scampagnata, sono
stato piuttosto indaffarato ad accogliere i partenti, presentarmi ai nuovi,
rilasciare interviste, distribuire roadbook e materiale vario, elargire i
primi indispensabili consigli. Prima di avviarci ho tenuto un mini briefing
sul programma del giorno con indicazioni del percorso e le varie soste tecnico-fisiologiche,
rifornimenti, rendez-vous coi partecipanti da raccogliere per strada, eccetera.
Poi Andrea ha spiegato la formazione dello Staff e il compito di ognuno di
noi, individuabili grazie a giubbotti d?emergenza arancione personalizzati,
appositamente preparati per l?occasione.
In pratica la formazione che avrebbe dovuto gestire le ventinove moto (da
tener presente che una volta in marcia, si forma una fila impressionante che
può variare da cinquecento a mille metri di lunghezza), era composta
da un apripista (io) una moto scopa (Gabriele) e tre moto elastico (Reg, Andrea,
Claudio). Questi ultimi avevano il compito di tenere unito il branco selvaggio,
facendosi vedere nello specchietto dell?apripista col quale dovevano mantenere
i contatti e compattando i ritardatari nei limiti virtuali formati dal battistrada
e la moto scopa che chiudeva la fila, raccattando eventuali dispersi.
Detta così sembra un giochino per bambini scemi, ma provate a farlo
in mezzo al traffico e in strade di montagna dove le andature diventano ventinove
velocità diverse, i sorpassi creano voragini da un gruppetto all?altro,
i bivi determinano incertezze, i centri abitati creano caos e via così,
con altre mille situazioni imponderabili capaci di sconvolgere l?assetto di
marcia.
Devo dire che a parte qualche incertezza iniziale, com?era nelle previsioni,
e qualche altro piccolo inevitabile imprevisto, tutto ha funzionato in maniera
egregia e, in pratica, non ci siamo mai persi.
In ogni modo ecco qua il resoconto della giornata.
L?ultimo a presentarsi, ma già pronto a partire è stato, come
sempre il Reg. Arriva giusto in tempo per il secondo scatto della fotona di
gruppo di Sabatini. Intanto l?eccitazione è salita alle stelle, in
cielo navigano certi nuvoloni da paura ancora grevi di pioggia, ma ritengo
che aspettare sia un?inutile perdita di tempo e decido di partire nonostante
tutto sotto gli sguardi ammirati dei passanti, un po? sorpresi da quest?imponente
serpentone e quelli immalinconiti dei ?fans? venuti ad assistere la partenza.
Tanto in un viaggio del genere la pioggia è da mettere nel conto. Ma
per una volta la fortuna ci assiste, niente acqua fino alla vetta del Muraglione
da dove si scorgono azzurre aperture di sereno, pressappoco sopra Firenze.
Ciò ci rincuora e dopo un velocissimo caffè da Giovanni, io
non sono riuscito a fare colazione per via degli impegni pre-partenza, ci
tuffiamo giù nella discesa verso il sereno.
A Barberino quando ci fermiamo al casello per agganciare Stefano di Padova
e il Tullo, sono le dieci spaccate e fa già caldo. Qualcuno si alleggerisce
approfittando del lieve ritardo del mattacchione bolognese. L?altro, col suo
TDM e la sua ragazza Daniela è puntuale. Ma qualche ragione per il
lieve ritardo il Tullo l?ha, infatti, l?autostrada è un budello infernale
piena in ogni ordine di posti e marciarvi dentro a passo sostenuto è
una mission impossible.
Ci cacciamo dentro armati di coraggio e sfruttando la corsia d?emergenza negli
intasamenti, riusciamo ad arrivare a Firenze, dove in direzione mare il traffico
è più scorrevole. Per strada dovremo raccattare altre due moto,
entrambe con passeggera, poi saremo al completo.
Allo stop di Lucca, prima stazione di servizio dopo la barriera, mentre iniziamo
il primo rifornimento, si presentano i primi problemini summenzionati. Qualcuno
è inopinatamente uscito dall?autostrada e s?è attardato e Claudio,
importante elemento dello staff, ha un problema con l?olio dei freni. Ci contattiamo
telefonicamente e lui riuscirà poi a risolverlo, raggiungendoci all?uscita
di Millesimo, dove agganciamo Aldo e Marina, la coppia ligure.
Nel tratto autostradale Viareggio-La Spezia fino alle porte di Genova, insperabilmente
sgombro, allungo un po?, ciò crea qualche sfilacciamento tra i più
tranquilli, ma la mossa era necessaria per rientrare in media. Se non si approfitta
della dritta, come si può sperare di recuperare nelle curve?
A Millesimo ci raggiunge anche Mario di Rimini che era stato costretto a tornare
a casa per aver dimenticato una cosa importante e sfruttando l?autostrada
è riuscito a recuperare in tempo. Bravissimo.
Mancano però quelli che hanno saltato il secondo rifornimento in autostrada,
dimenticandosene, e Andrea Martello e Alessandro che si sono incartati negli
svincoli di Genova, hanno sbagliato innesto e si sono ritrovati in centro,
nella zona portuale.
Meno male che, dato che erano lì, non si sono imbarcati per qualche
crociera di sogno verso i Caraibi, perché avremmo perso la giornata
nel vano tentativo di ritrovarli. Nulla di irreparabile invece, perché
ci ricompatteremo sul Colle di Tenda prima della galleria che porta in Francia.
Una validissima conferma della teoria che se si segue il roadbook, è
inevitabile che prima o poi ci si ritrovi. Qui ci aspetta anche Giorgio Zironi
e sua moglie Sara di Modena, con le inconfondibili testate gialle del suo
GS. Impossibile non notarlo, anche da lontano.
E così, incredibile ma vero, terminato questo palloso trasferimento,
quando sbuchiamo dal lungo tunnel in terra d?oltralpe ci siamo proprio tutti,
belli e brutti. Ventinove macchine meravigliose in fila indiana e trentaquattro
persone cariche come non mai di adrenalina per l?avventura che ci aspetta.
Inutile nasconderlo, la cosa mi riempie di soddisfazione, e anche di orgoglio,
in barba alle Cassandre che da giorni continuavano a dire: ah, vedrai che
sarà impossibile tenere unite tante persone dalle andature così
diverse!
Il gruppo dal canto suo è affascinato dal panorama e dallo stato delle
strade, tutte poco trafficate e ben asfaltate, sicché il Col de Tende
e il Brouis si snocciolano via che è una bellezza. Altro discorso il
leggendario Col de Turini, stretto e impegnativo, dove penso di allungare
per dar modo ai ?velocisti? di esprimersi.
Mi rimarrà appiccicato, come previsto, il solo Fantini, ma chi se lo
scolla quello? Quando siamo in cima al passo dopo la tiratona liberatoria
è sera, siamo tutti eccitati e reattivi nonostante i seicentotrenta
chilometri, e gli ultimi dodici di magnifica, veloce discesa, ci conducono
per mano fin quasi dentro il parco dell?Hotel a La Bollene.
Il luogo piace, così calmo e riposante, immerso nei boschi di larici
delle Alpi Marittime con la veduta del piccolo paese sullo sfondo. Siamo tutti
euforici ed appagati e la cena scivola via che è una bellezza, tra
risate e battute di soddisfatto compiacimento. La prima lunga tappa è
terminata. Da domani si fa sul serio, cominciano le Grandi Alpi.
Domenica 30 Maggio 2004, seconda tappa.
Come temevo mi sto dilungando. Questo diario rischia di diventare
un romanzo. Tenterò di essere più conciso, anche se molto difficile,
le cose da descrivere sarebbero tante, mi limiterò ai fatti, per la
bellezza dei luoghi occorrerà ricorrere alle immagini o, meglio, ad
un viaggio di persona.
Oggi primo ?vero? giorno di viaggio. Sarà indimenticabile. I tre riminesi,
dopo aver valutato autonomamente le loro capacità e ritenendosi (secondo
me a torto) di intralcio, molto urbanamente mi comunicano la loro intenzione
di procedere del loro passo seguendo il roadbook da soli, visto che lo trovano
ben fatto. Ci ritroveremo in hotel la sera. Non posso fare altro che accettare
questa loro decisione.
Alla fine arriveranno molto prima. Logico, le soste quando si è in
tanti si allungano enormemente e quando si sta fermi chilometri non se ne
fanno, ahimè.
Il percorso si snoda lungo la discesa per Saint Martin Vesubie e il suo stupendo
passo dal nome omonimo, quindi il gruppone scende verso la valle del Tinèe
dove ci dividiamo dai riminesi perché io e il Reg, visto che dopo la
telefonata all?ente preposto ci viene riconfermata la chiusura del Col d?Iseran
che avremmo dovuto valicare domani (coi suoi 2770 metri è il più
alto dei passi europei) causa l?eccezionale innevamento di quest?anno, abbiamo
pensato di ?risarcire? i partecipanti portandoli al Gorges du Cians, una bizzarria
della natura di queste sorprendenti Alpi Marittime.
Si tratta di una gola strettissima che a metà si stringe ancor più
al punto che la vecchia strada è stata scavata nella roccia rossa ed
in certi punti le pareti non distano più di due metri.
L?escursione imprevista riscuote gran successo e il numero impressionante
di clic lo testimonia. Peccato che come sempre in situazione di luce critica,
la macchina fotografica mostri i suoi limiti e non renda né le proporzioni,
né gli incredibili colori di questi antri infernali.
Risaliti a Beuil rientriamo nel percorso originale e superiamo il passo della
Couillole, sosta caffè a Valberg, bella stazioncina invernale e quindi
ci attende il selvaggio, stupendo Col de la Cayolle che coi suoi 2327 metri
non è per niente uno scherzo e ci fa toccare con mano la prima neve
del viaggio. Mentre si scattano foto parlo con Tito consigliandolo di aggregarsi
al gruppetto dei riminesi, così lui viaggia più tranquillo e
la media del gruppo ne guadagna. Accetta di buon grado dimostrando comprensione,
sarà la mossa che ci permetterà di proceder più spediti
col gruppo. Troveremo lo stesso il modo di perdere tempo nelle soste, come
già detto. A Barcelonnette ci ricongiungiamo tutti, ma mentre gli altri
si sbafano baguette imbottite e insalatone, io e Reg dobbiamo compiere un?operazione
di salvataggio essendo rimasto a secco l?equipaggio del TDM (molto poca l?autonomia
di questa moto). Ne guadagnerà la linea, detto tra noi, il bisogno
c?è. Per la verità riesco a sbocconcellare un paninozzo mentre
assisto alla partenza della Formula Uno (vincerà Schumacher, al solito).
Poi tutti a fare il pieno a fine paese e si riparte per strade meravigliosamente
scorrevoli e poco trafficate. E così ci divoriamo il coreografico e
facile Col de Vars con la sua discesa-toboga fino a Guillestre dove risaliamo
la valle dell?Ubaye, impetuoso fiume prediletto da kayakisti e rafters francesi.
Ne fotografiamo alcuni impegnati a discendere le spumeggianti acque.
Poi dobbiamo valicare uno dei mitici passi famosi per le imprese dei ciclisti
antichi e moderni, il Col d?Izoard, 2361 metri, dove in prossimità
della vetta c?è un cippo a memoria del Campionissimo Fausto Coppi e
del suo valido rivale Louison Bobet.
Prima d?imboccare l?ultimo tratto in ripida salita e subito dopo, il paesaggio
è meraviglioso. Strapiombi impressionanti e dolci e verdi vallate lasciano
il posto a guglie aguzze erose dal ghiaccio. Superfluo dire che sono costretto
ad una sosta per immortalare la cruda bellezza che ci circonda. In vetta ancora
neve, qui un po? più alta, specialmente sul versante nord. Si passa
tra muri bianchi scavati dalle turbine.
Ma non è finita perché dopo la discesa e l?attraversamento di
Briançon, una delle città alpine più grandi, c?incanaliamo
nella scorrevole e maestosa Serre Chevalier che salendo dolcemente ci porta
fino al Col du Lautaret, 2058 metri, da dove, deviando a destra, s?imbocca
il mitico Col du Galibier, per me il più bello dei grandi passi francesi.
Noi lo superiamo tramite il tunnel scavato accanto al rifugio a 2556 metri,
purtroppo gli ultimissimi tornanti sono ancora chiusi. Di là i muri
di neve superano i quattro, cinque metri.
Approfittiamo per fare una sosta al rifugio, il freddo è sopportabilissimo
ma un caffè caldo fa sempre piacere, poi ci dilettiamo guardando passare
una fila di grossi sidecar cabinati. Una moda da nordeuropei, chissà
se attaccherà anche da noi, per me sarà difficile, a noi piacciono
troppo le pieghe.
Infine il discesone e, attraversata Valloire, centro molto rinomato, di nuovo
giù scendendo i tornanti del Col du Telegraphe che hanno la caratteristica
di non avere un metro di piano, tutti i 15 chilometri sono in discesa per
noi e in salita per la moltitudine di ciclisti che lo sfidano ogni giorno.
Giunti a valle, in quattordici velocissimi chilometri di superstrada siamo
a destinazione, a Saint Jean de Maurienne. L?hotel è così così,
ma non si può avere tutto dalla vita.
Ne trovo conferma anche a tavola ma, nonostante la pochezza della cena: poullet
garnì, pollastro cotto in bianco con patatine, detta in italiano (in
francese suona meglio, chissà perché), l?allegria impera e le
battute si sprecano. Specialmente quelle rivolte al trolley di Matteo, un
marchingegno da lui inventato per caricare il bagaglio, ricoperto da un telone
bianco che fa tanto gelataio. Ride anche lui, ma mi sembra di captare una
sfumatura amara ai frizzi e lazzi dei ragazzi scatenati, forse riteneva che
la sua invenzione meritasse un po? più di considerazione. In ogni caso
lo scorrere del vinello, incluso nel prezzo, sommerge tutto e la serata scivola
via con un filo di gas.
Io intanto telefono e ho la conferma ineluttabile che l?Iseran è chiuso
ma, meno male, hanno aperto la Madeleine. Questo mi permetterà di effettuare
una deviazione più breve e assai più bella. Mi dicono anche
che è chiuso il Col de la Colombière, e questo è un vero
peccato. Comunque non demordo, vedremo domani, in loco. Siamo in stagione
e la situazione può evolversi di momento in momento.
Il morale della truppa è talmente alto che riesco a convincere il gruppetto
dei più lenti a marciare con noi domani. Tanto la tappa è stata
forzatamente accorciata e avremo tutto il tempo per farla tranquillamente,
inoltre le quattro gocce che cadono all?esterno fanno presagire una giornata
umida, il meteo dà in arrivo una perturbazione e ce la beccheremo nei
denti. Domani si andrà a rilento, quindi tutti insieme appassionatamente,
e buonanotte al secchio.
Lunedì 31 Maggio 2004, terza tappa.
Inutile, sono ancora troppo prolisso. Mi sforzerò di
stringere. Stamattina si parte, con comodo alle nove, per la variante del
Col de la Madeleine, 2000 metri, chiuso fino all?altro ieri. Questo ci permette
di evitare di scendere giù fino ad Albertville. La variante è
bella, la strada si snoda tra costoni verdissimi, il paesaggio è molto
?alpino? e l?asfalto è infiorato da grosse frittelle di vacche francesi.
A proposito le mucche qua sono molto charmant, vestite di un manto bianco
e nocciola. Però quando si sale metà del panorama se lo mangiano
i nuvoloni e sul passo, dopo le foto di rito, ci vestiamo da pioggia, sta
cominciando a gocciolare. Scendendo comincia a fare sul serio e la nebbia,
finché non scendiamo sotto i millecinquecento metri, è fittissima;
procedo lentamente, i tornanti sono stretti e il serpentone scende serrato
con molta prudenza. E? in questo tratto che Tito mi si appiccica alle costole
asserendo di imparare le traiettorie, bisogna vedere se riesce a farlo lo
stesso quando l?andatura si fa più veloce, ma così intanto ce
lo portiamo dietro senza problemi.
In fondo alla discesa, all?ingresso della superstrada verso Bourg Saint Maurice
mi viene segnalata la mancanza di due elementi, Matteo e Gabriele, la motoscopa.
Sinceramente non so come abbiano potuto attardarsi tanto e sbagliare strada,
sono sceso ai tre all?ora. Ma dopo pochi minuti arrivano, il problema è
rientrato. Dopo la città ci aspetta il bellissimo e selvaggio Cormet
de Roselend, alto ?solo? 1968 metri, ma molto pittoresco e suggestivo. In
cima molta neve, mentre il lago con la chiusa della grande diga è inspiegabilmente
mezzo vuoto. Forse la stagione del riempimento inizia adesso, arrivano giù
certi cannoni d?acqua! Eppoi i colori in questa giornata piovosa sono tutti
smorzati; peccato, in estate ho visto certi scorci, quassù. Scendiamo
il versante opposto che è tutto diverso, la strada è immersa
in un?imponente foresta di abeti altissimi, sprofondata in un verde impressionante.
A Beaufort, graziosissimo paesino di villeggiatura, ci rifocilliamo. Ottima
la patisserie-boulangerie, però il distributore è chiuso. Da
queste parti è appena terminata la stagione invernale e molti esercizi
si prendono un periodo di ferie.
Qualcuno, Stefano del TDM ma soprattutto Andrea Martello col suo S, comincia
ad andare in fibrillazione per la paura di rimanere a secco. Io so di dover
attraversare parecchi centri turistici e in almeno uno di questi troveremo
benzina però, quando anche a Flumet troviamo chiuso, scatta un po?
di paranoia. Dobbiamo scalare l?Aravis (bello) e a la Clusaz, grande stazione
invernale, la troveremo di sicuro. Costoro, i paranoici, a calcoli fatti,
hanno ancora 40-50 chilometri d?autonomia e il grosso paese ne dista poco
più di venti. Il margine di sicurezza dunque c?è, ma loro si
preoccupano oltre il dovuto, anche perché siamo attrezzati con la gommina
ed eventualmente siamo in grado di fare una trasfusione. Mica li lasceremo
a piedi perdio! Mi sgolo a ripeterglielo, ma pare che non mi ascoltino.
Quando finalmente arriviamo a la Clusaz, un po? a malincuore per la magnificenza
dei paesaggi che ci lasciamo alle spalle (è su questi passi che col
bel tempo si ha la veduta del gigante Monte Bianco, ma oggi non è possibile),
i paranoici del rifornimento sono soddisfatti. Si fa il pieno, tutti. Solo
che dopo l?angoscia della giornata c?è qualcuno, Matteo e Gabriele,
che asserendo di essere a metà serbatoio, con aria di sufficienza si
rifiutano di farlo.
Devo ammettere che in questa occasione ho perso un po? le staffe, dopo lo
stress cui sono stato sottoposto negli ultimi chilometri e il continuo rassicurare
quelli a corto, ma forse loro non se ne sono resi conto e sono rimasti all?oscuro
delle ambasce altrui. In questo frangente ho dovuto alzare un po? la voce
per far riempire il serbatoio ai recalcitranti, e me ne scuso, ma dico: ci
vuol tanto a capire che non sarebbe stato giusto poi far aspettare trenta
persone per due che non si sono riforniti per sfatica? Va beh, proseguiamo
che è meglio.
Siamo ad un tiro di schioppo dal bivio per la Colombiere e dentro di me non
mi rassegno al fatto che sia chiuso, chiedo al vecchietto del distributore
e lui mi conforta dicendomi che gli risulta ?Ouvert?, però non è
sicuro e mi dice di guardare i cartelli segnalatori a Saint Jean de Six, a
tre chilometri da lì. Eseguo con la speranza nel cuore, ma i cartelli
dicono ?Fermè?. Ancora non mi rassegno, vedo troppo traffico provenire
in senso contrario, così fermo il plotone e seguito come un?ombra da
Fantini e Fausto, alle prime case mi fermo a chiedere.
La prima risposta è negativa, ma insistendo una signora assai gentile
mi avvicina e mi dice che sì, ufficialmente è ancora chiuso,
ma in realtà si passa e quindi, a nostro rischio e pericolo, possiamo
andare. Non mi par vero e incarico il fulmine Fantini di andare a chiamare
il branco e così, in pratica di straforo, ci siamo potuti godere il
bellissimo passo e l?ancor più bella discesa fino a Cluses.
A proposito di velocità, a questo punto mi sembra doveroso spendere
due parole: per tutto il viaggio ho tenuto una media che fosse agevole per
tutti, e spesso sono andato veramente piano per compattare il gruppo. Eppure
nonostante ciò, ci si ?allungava? ugualmente, quando in testa si va
ai settanta, in fondo devono correre, questo è noto. Nello stesso tempo
però sentivo la ?pressione? a stento repressa dei più veloci
che trattenevano la voglia di schizzare via, soprattutto nei tratti sgombri
ed invitanti.
Devo dire che mi è costata non poca fatica mediare tra queste due opposte
esigenze e so che per elementi come Fantini, Zampiga, Franco, Fausto ed altri,
questo è stato un sacrificio. Sono stati in ogni caso bravissimi a
non farlo pesare per solidarietà e rispetto verso gli altri, cosa indispensabile
quando si viaggia in gruppo e di questo devo ringraziarli.
Ovviamente non sono mancate le battutine dell?irruente Fantini che spesso
mi stuzzicava, chiedendo: ma quando facciamo un pezzo di strada abbastanza
motociclistico?
E, visto che l?uomo non è di legno, in qualche tratto abbiamo, per
così dire, mollato i cani, come sul Turini e nel tratto velocissimo
fatto di curve e controcurve verso Les Gets. Per qualche minuto i velocisti
si sono sfogati, me compreso; da qualche parte l?adrenalina va pur scaricata,
perbacco!
Ma anche viaggiare di conserva è stato bellissimo, in quei tornantoni
larghi che danno ampia visibilità, mi sono girato spesso a guardare
il lunghissimo serpentone che mi seguiva e posso garantirvi che è uno
spettacolo davvero emozionante.
Alla rotonda di Cluses, città piuttosto grandina, mi perdo come tutte
le altre volte (qui la segnaletica è un po? farlocca) ma rimedio subito
e rientriamo ben presto nella Route. Annoto per i posteri alla prima rotonda
occorre girare in senso antiorario per circa 300 gradi, imboccare lo stradone
direzione Thonon, quindi all?incrocio a destra seguendo le indicazioni Morzine
e Taninges si rientra nella Rotta delle Grandi Alpi.
Ad ogni modo perlomeno a Cluses non spioviggina più, anzi pare che
si apra un po?, ma le previsioni per domani non sono per niente buone e se
piove in Svizzera sarà dura. La giornata si chiude in bellezza con
una breve sosta caffè al Gorges du Diable, poi a Le Jotty storica foto
di gruppo sotto il primo cartello che segnala la Route des Grandes Alpes.
Per noi ovviamente, provenendo dal senso opposto, è l?ultimo e questo
scatto suggella la nostra fatica. I compagni di viaggio sono stregati dalla
bellezza del percorso e mi sommergono di ringraziamenti, ma il merito è
di madre natura, io li ho solo accompagnati in questi siti stupendi.
Ancora caldi ed eccitati per l?impresa, ci apprestiamo a percorrere l?ultimo
tratto che ci separa da Chatel e dal meritato riposo. Una trentina di chilometri
dentro una bella gola e, causa una deviazione per lavori, entriamo in paese
dal basso, sicché l?albergo, contro il quale andiamo quasi a sbattere,
mi sfugge, intento come sono ad orientarmi. Se ne accorge qualcuno delle retrovie
e dopo un rapido dietrofront prendiamo possesso di ampie e comode stanze.
Le coppie tutte nel corpo centrale, gli altri nella vicinissima dependance.
Siamo arrivati tutti al gran completo.
A cena ci attende una gradevolissima sorpresa, tavole graziosamente imbandite
e menù tipicamente savoiardo, con piastra rovente sul tavolo per cucinarci
la squisita carne a fettine. Il vino scorre copioso e l?allegria regna sovrana.
La smorzo un po? comunicando l?orario per l?indomani. Si partirà alle
otto, dopo la colazione anticipata alle sette e mezza.
Mentre cenavamo ho fatto una mano di conti tenendo conto delle condizioni
climatiche avverse. Domani ci attende il tappone e bisogna partire prima possibile.
Ho già notizie sicure sulla chiusura del passo della Forcola, quello
che dal Bernina conduce a Livigno, perciò sarò costretto ad
una deviazione allungandomi fino a Zernez, per poi arrivare in Italia attraverso
il tunnel del Gallo. Il problema è che, oltre ad allungare un po? il
percorso, questo tunnel chiude alle otto di sera e non posso rischiare di
trovarlo chiuso. Viaggiando con la pioggia le medie sono basse e inoltre dobbiamo
scalare i famosi sei passi oltre i duemila. Sicuramente qualcuno sarà
chiuso e sarò costretto ad apportare modifiche strada facendo. Sono
un po? preoccupato, ma lo tengo per me. Inutile guastare la festa a questi
meravigliosi compagni d?avventura. Ci penseremo domani nella terra dei formaggini.
Martedì 1 Giugno 2004, quarta tappa.
Il grande e temuto tappone svizzero è arrivato. Oggi
succede un po? di tutto e sarà un problemino sintetizzare. Mo? ce provo.
Tutti d?accordo dunque a partire alle otto e tutti pronti cinque minuti prima
come sempre, tranne due. Provate ad indovinare chi sono. Trentadue centauri
coi motori in moto, con oltre cinquecento chilometri da sgranocchiare su e
giù per le più ostiche cime svizzere, sotto un cielo gravido
di pioggia fermi ad aspettarne uno che è in ritardo e s?incarta a legare
il già tanto criticato trolley e il suo compagnuccio di stanza, che
ad onor del vero si dà una mossa e dopo un po? ci raggiunge. Anche
perché devi chiudere la fila, vero Gabriele?
Io mi adopero, Dio mi è testimone, cercando di calmare la smania degli
altri trentadue che vogliono partire, esternando tutta l?olimpica calma di
cui sono capace, ma ad un certo punto, visto che dopo un quarto d?ora di lasco,
nulla si muove, all?ennesima protesta ?ufficiale? sono davvero costretto a
partire. Non posso scontentare il gruppo per favorire un singolo che dà
l?impressione di sbattersene degli altri, chiunque sia, fosse pure mio fratello.
Farò poi a passo di lumaca l?attraversamento del paese e i primi venti
chilometri al rallentatore, dandogli così la possibilità di
rientrare, ma evidentemente non ne ha affatto l?intenzione perché non
appare.
Probabilmente ha deciso di rientrare da solo e avrà avvisato qualcuno
dello staff, penso. Intanto ho anche la preoccupazione di superare la frontiera
svizzera perché Daniela, la padovana, non ha i documenti. Fortunatamente
il doganiere è dentro il casotto e visto il tempaccio non si scomoda
ad uscire, un cenno col capo e ci lascia passare: questa è andata.
Nulla di grave, ma sarebbe stata sicuramente una perdita di tempo prezioso.
Imboccata l?autostrada verso Sion, scorgo il primo cartello informativo sui
passi. Sono tutti verdi tranne il Nufenenpass, se persisterà la chiusura
dovrò modificare per forza il giro. Vedremo più avanti. Intanto
minaccia pioggia, ma per il momento tiene, ovviamente siamo tutti vestiti
da bagnato, non c?è da aspettarsi nessuno sconto da questo tempo.
Infatti, quando prima di Brig ci fermiamo per i primi rifornimenti (la stazione
è piccola e dovremo fare un?altra sosta), sempre a beneficio del TDM
e degli S, comincia a piovere. Per Massimo, purtroppo, piove sul bagnato perché,
nonostante le raccomandazioni, ha istintivamente fiancheggiato e poi superato
una vettura in zona divieto. Come ci fermiamo, zac! Appare la pula crociata
e gli appioppa una multarella di 80 Euri. Dispiace un po? a tutti, ma qua
è così che funziona. Rimarrà comunque un caso isolato,
per tutto il resto del viaggio su questo fronte è andato tutto liscio.
Quando stanno per terminare i rifornimenti vediamo passare il nostro ritardatario
col suo cassonetto bianco, ci vede e prosegue, non ci fa neanche ciao con
la manina! Non ci preoccupiamo più di tanto, a pochi chilometri c?è
la deviazione per il Sempione, l?Italia è ad un tiro di schioppo per
chi volesse rientrare anticipatamente. Basta solo avere l?accortezza di dirlo,
in questo viaggio ognuno di noi è sempre stato libero di fare ciò
che meglio preferisce purchè non fosse d?intralcio agli altri.
Via via, che il tempo stringe! E piove. Tiro fino al punto obbligato di Ulrichen,
il paese con la biforcazione per il Nufenenpass. Urge un briefing volante.
Strada facendo ho pensato a cosa fare.
Visto che il passo è veramente chiuso e davanti a noi si presentano
cupi nuvoloni, avrei pensato di suddividere il gruppo, proponendo due itinerari
alternativi.
Uno per i tranquilli, l?altro per i temerari. I primi dovranno procedere dritto,
superare il Furkapass, che pur essendo il più alto è quello
più transitato e sarà sicuramente aperto. Una volta scesi, si
ritroveranno nella famosa cittadina di Andermatt, dove aspetteranno al calduccio
di qualche ristorante l?arrivo del secondo gruppo.
I temerari, anziché fare l?ottovolante previsto nel programma, dovranno
fare il percorso al contrario, prima il Grimselpass, poi il Sustenpass, quindi
il Furkapass su e giù (volendo) e tornare ad Andermatt per il rendez-vous
con gli altri e tutti insieme uscire da questa diabolica sacca attraverso
l?Oberalppass. In sostanza di sei passi in sequenza i temerari ne farebbero
quattro, i tranquilli due. Mi sembra una soluzione di tutto rispetto calcolando
che lassù stavolta, oltre ai soliti muri di neve, potremmo trovare
la bufera.
Dopo una breve consultazione fatta in un piazzale, ci dividiamo. I temerari
sono molti di più di quanto mi aspettassi, l?idea di affrontare peripezie
evidentemente è ruffiana e raccoglie proseliti. Dalla parte dei temerari
conto ventidue moto, mentre sei si coagulano coi tranquilli e una, come già
detto, ha preso la via di casa. I conti tornano. Quello che in quel momento
mi è parso straordinario è che a quel punto del viaggio ne mancasse
solo uno e, cosa ancor più eclatante, che le coppie, tranne Giorgio
e Sara di Modena, si fossero aggregate tutte ai temerari. A questo proposito,
consentitemi di dire una parola sulle fantastiche donne del gruppo.
Sono state meravigliose, mai un lamento, mai una fisima oserei dire, tipicamente
femminile. Tutti sappiamo quando il gioco si fa duro, quanto sia importante
nei gruppi l?intesa con le donne, basta poco per rovinare la festa. Stavolta
siamo stati davvero fortunati, hanno dimostrato un coraggio ed un?abnegazione
stoici. Brave. E questo, di sicuro, non mancherò di sottolinearlo nella
serata finale, vale a dire stasera a Livigno. Sempre se ci arriveremo! Sarà
meglio dunque darsi una mossa, ancora mica sappiamo cosa ci aspetta.
Risaliamo dunque la poderosa salita, incarognita dalle condizioni climatiche.
Ai lati paesaggi cupi e lugubri, strapiombi da brivido e larghe falde innevate.
Lassù le cime si perdono in una gelida nebbia biancastra e il roccioso
muso inanellato di geometrici tornanti incombe. A Gletsch, ultima stazione
all?aperto del leggendario trenino delle Alpi e punto di passaggio obbligato,
ci dobbiamo per forza separare. I tranquilli vanno dritto, noi temerari giriamo
a sinistra e cominciamo subito a salire verso il Grimselpass.
Appena imboccata questa stupenda strada che assomiglia troppo ad una pista
per andare piano, noto un piccolo cartello appoggiato lì che indica
strada senza uscita, ma non ci faccio caso. Fino a quel momento tutti i segnali
davano passo offen, aperto. Quindi ci proiettiamo in vetta e qui ci scanniamo
a scattare foto tra muri di neve alti cinque o sei metri (vedere per credere),
solo che pochi metri più in là, oltre il rifugio, la strada
è sbarrata, geschlossen, closed, fermè.
Attimi di scoramento e indecisione, poi facciamo un sopralluogo a piedi, c?è
una sottile patina di neve alta cinque o sei dita che copre l?asfalto per
una trentina di metri, oltre, la strada s?incastra tra muri bianchi ma sembra
tutto pulito. Mi sembra strano che sia chiuso un passo solo per quel breve
tratto innevato, magari più giù c?è qualche impedimento
più grosso.
Siamo lì indecisi sul cosa fare, quando vediamo sbucare una Mercedes
che risale la strada. Alla guida una signora, all?apparenza americana o tedesca,
col marito di fianco. Vedendoci lì in piedi si ferma preoccupata della
poltiglia. Ne approfittiamo per tempestarla di domande. In uno stentato inglese
riusciamo a capire che fino a quel punto la strada è assolutamente
sgombra e percorribile, il che è logico se gliel?ha fatta lei con gomme
normali?
Rianimati dall?informazione ci adoperiamo spingendo la vettura che stava patinando
e liberiamo il passo spostando la sbarra. Lei ci ringrazia con uno sguardo
tra lo stupito e l?incredulo e noi a quel punto, com?è ovvio, decidiamo
di passare. Piano piano, piedoni fuori a mo? di pattini, lasciando scorrere
la moto ce la si può fare.
Solo un paio dei temerari a quel punto ha rinunciato e ha fatto dietrofront
per raggiungere i tranquilli, tra cui la coppia di freschi innamoratini Max
ed Elisabetta. Forse hanno sopravvalutato il pericolo, impegnati come sono
a fare cucci cucci dal momento della partenza. Con loro, e di questo mi stupisco,
anche il Tullo ma, preso come sono dall?impegno di aiutare gli altri nel difficile
passaggio, me ne rendo conto quando ormai se la sono data. Pazienza, il gruppo
si è assottigliato ma di poche unità. Sorprendenti Aldo e Marina,
la coppia di Genova che a bordo della loro RT non hanno paura neanche del
diavolo. E così si va.
Adesso pontificare il pezzo di strada che abbiamo fatto a scendere fino al
primo paese, potrebbe sembrare scontato. Mi libero dicendo che non ci sono
parole, è un?esperienza da fare e basta, ogni descrizione sarebbe sprecata.
A parte che d?estate è una vera pista e quindi consiglio agli amanti
della velocità di farla nella stagione adatta se vogliono divertirsi
davvero. Noi la percorriamo a velocità di sicurezza ma ciò non
toglie che ne rimaniamo affascinati. Quando giungiamo al paesetto di Guttanen
ci fermiamo per un break mangereccio e per fare il punto della situazione.
M?informo e risulta che il passo successivo, quello che dovrebbe portarci
verso Andermatt, il Sustenpass, è inesorabilmente chiuso. A parte che
mi secca di non poterlo fare perché è veramente bello, il problema
vero è che a questo punto i casi sono solo due. O facciamo una deviazione
talmente lunga che non voglio neppure calcolare sulla carta (attorno ai 150
chilometri, ad occhio), oppure ritorniamo sui nostri passi e tentiamo di passare
la poltiglia nevosa in cima. Secondo me ce la facciamo bene, alcuni, neanche
tanti, sono indecisi, ma che altro fare?
Titubare ci porta via troppo tempo, perciò facciamo dietro front dopo
aver sbocconcellato qualche wurstel e un po? d?insalata. L?avventura continua,
ma ancora non sappiamo quanto.
Se la strada era bella in discesa, figuriamoci in salita. Abbiamo la fortuna
che nel frattempo s?è un po? schiarito il cielo e per qualche minuto
ha smesso di piovere. Ci proiettiamo verso la cima, 2165 metri, ma poco prima
della vetta, un cantoniere su una grossa jeep ci fa ampi cenni di fermarci.
Io fingo di non vedere e proseguo sparato seguito da Fantini e qualcun altro,
superiamo di slancio il tratto innevato e spostiamo la sbarra al volo per
chi sta sopraggiungendo. Solo che non sono tutti così veloci e riusciamo
a passare appena in tre o quattro prima che il signore di prima, incazzato
come un orso, ci raggiunga e chiuda la sbarra di nuovo con aria truce e radiolina
in mano minacciando di chiamare la polizei.
A questo punto potete immaginare che è successo di tutto e di più.
Noi tre o quattro di qua, tentiamo di rabbonire il tipaccio che tra l?altro
ostentatamente parla solo tedesco e quindi non capiamo nessuno una mazza.
Quelli che sono arrivati e rimasti bloccati di là, ci raggiungono e
a turno, imprecando, buttano su la propria fascina.
Il tipo vedendosi accerchiato si barrica dentro la macchina e chiude il vetro
e comincia a digitare sulla radiolina. La faccenda sta prendendo una brutta
piega, anche perché, esasperato, Massimo lo manda a fare i bocchini
in romagnolo, ma questo lo svizzerone lo capisce benissimo. Al che s?incazza
ancor più, com?è logico. In fin dei conti in torto siamo noi
e pur facendo gli gnorri è difficile produrre una ragione valida.
Occorre un intervento diplomatico, con appello al suo buon cuore, in fondo
dietro quella rude scorza di grosso montanaro, batterà pure qualcosa
no?
Allontano più che posso i focosi ragazzi e tento, in un penoso inglese,
di far capire al bestione che siamo un gruppo e siamo rimasti tagliati fuori
dalla chiusura dell?altro passo. Gli indico la cartina, questo ripete: italiani
sempe banditi, polizei, polizei. Ci accusa di fare sempre i furbi, noi italiani?ma
quando mai? Non sono molto soddisfatto del risultato, ovviamente. Sennonchè,
dai e dai, pare che si apra una breccia nella rude scorza e avuta soddisfazione,
il tipo ci concede di rispostare la sbarra e uscire da quest?incresciosa e,
devo dire, poco onorevole situazione. Alla fine tutto è bene quel che
finisce bene, come sempre, e la disavventura ?diplomatica? diventerà
argomento di discussione, ma anche di animazione della giornata. In fin dei
conti, l?avventura è l?avventura.
Ma non è ancora finita. Intanto ci facciamo il Furka, il re dei passi
svizzeri, sotto il nevischio e le foto che scattiamo al rifugio mostrano l?impressionante
altezza raggiunta dalla neve. Passiamo, ma la pericolosa discesa senza parapetti
sull?altro versante la facciamo a passo d?uomo. Meglio non stuzzicare la buona
sorte. Finalmente giungiamo ad Andermatt e iniziamo a rifornire alla pompa.
Altra sorpresina, qui mi accorgo che il Reg, la mia spalla, ha la ruota posteriore
sgonfia. Ha forato.
Attimi di semipanico, intervenire con un freddo simile non è agevole
e, visto che non è del tutto a terra, proviamo a gonfiarla. Niente
che tenga, visto che procederemo lentamente, gonfiandola di tanto in tanto
potremmo tentare di arrivare a destinazione. La bomboletta la useremo in extremis.
Quando abbiamo rifornito tutti faccio il punto, la situazione è la
seguente: il ricongiungimento programmato non è avvenuto in quanto
il gruppo dei tranquilli, essendo rimasti choccati dalla neve sul Furka ha
deciso di guadagnare tempo proseguendo, mentre i tre riminesi hanno optato
per deviare e rientrare in Italia passando dal Gottardo che da Andermatt dista
pochi chilometri. Naturalmente di questo sviluppo sono stato opportunamente
informato telefonicamente da Andrea Martello, durante il nostro fugace pasto.
Tutto sommato, il risultato è confortante e le vittime lasciate sul
terreno sono inferiori alle previsioni, visto il tempaccio. Tempaccio che
ci accompagnerà inesorabilmente per tutto il tragitto, per quanto è
lungo fino al tunnel del Gallo.
Devo aggiungere che durante quest?interminabile tratto, che in condizioni
appena accettabili, sarebbe stato splendido, ho avuto continuamente l?assillante
patema di non riuscire a condurre a destinazione la pattuglia dei valorosi
ventidue superstiti, prima che questo maledetto tunnel chiudesse i battenti.
Sarebbe stato un dramma. Questo stress l?ho pagato al casello dove sono andato
in tilt dopo il calo degli zuccheri dovuto al rilassamento per avercela fatta,
otto ore sotto un?incessante pioggia con quest?ansia in gola lasciano il segno
su chiunque.
Poi la serata finale nel bell?albergo e la ricca cena con menù dedicato
a base di pizzoccheri e filettino, ci ha riconciliato con il resto del mondo.
La vita è bella. Ad attenderci al Saint Michael, al posto dei ritirati,
c?erano un amico di Andrea Galassi di Brescia con una RT e, udite, Ugo Davanzo
e signora con incipiente pancetta premaman! Con Ugo ero in continuo contatto
telefonico e lui doveva essere dei nostri a Chatel, ma una rottura meccanica
del nuovo GS l?ha appiedato, però non volendo mancare all?appuntamento
ha noleggiato una beetle decappottabile e ci ha impavidamente raggiunto a
Livigno. Tutti abbiamo apprezzato la loro compagnia e durante la gradevolissima
serata ho distribuito, al posto del solito gadget, un oggetto che ha riscosso
grande approvazione dagli eroi di quest?avventura giunta, qui a Livigno, praticamente
al suo epilogo.
Infatti, ho pensato di ?premiare? tanta passione e costanza anziché
con la solita maglietta, con un simpatico diploma, debitamente personalizzato
e stampato in vera finta pergamena, col quale ho insignito, honoris causa,
tutti i partecipanti del titolo di Capriolo Coraggioso, che potrà essere
usato ad ogni effetto di legge (ehi, sto scherzando?). Ma a parte le burle
la cosa è davvero piaciuta e sono convinto che ognuno di noi l?incornicerà.
Un viaggio del genere in tanti, non è cosa da tutti i giorni e devo
dire che dagli entusiastici ringraziamenti, ma soprattutto dalla luce di soddisfazione
dei loro sguardi che tutti si sono veramente divertiti, e senza farsi male,
il che è la cosa più importante.
Come promesso, ho ringraziato le signore per la sorprendente abnegazione e
coraggio dimostrati e quindi tra un brindisi e l?altro s?è fatta l?ora
dei commenti finali e perché no, anche delle critiche, devo dire, molto
poche e assolutamente bonarie.
Per domani, il giorno del rientro, il briefing non è necessario, il
gruppo infatti si sfalderà. Oltre ai riminesi rientrati in anticipo
(sono fermi sul lago di Como e torneranno anche loro domani), alcuni rimangono
a Livigno, altri, i non romagnoli per intenderci, avendo destinazioni finali
diverse, ne approfitteranno per fare itinerari alternativi. Deciso che il
Gavia non si farà, il tempo minaccia ancora e 2600 metri sono troppi
per rischiare, scenderemo fino a Grosio e ci spareremo un bel Mortirolo, così
tanto per chiudere in bellezza, poi ce ne andremo a casa. Oltretutto vi è
appena transitato il Giro d?Italia e sarà asfaltato di nuovo. Partiremo
con comodo verso le dieci, dopo il rifornimento e un breve shopping. Il Reg
deve anche sistemare la gomma che ha tenuto miracolosamente fin qui con qualche
gonfiatina di quando in quando.
Mercoledì 2 Giugno 2004, il ritorno.
Finalmente una tappa, anche se di quasi cinquecento chilometri,
fatta in relax. Dopo i saluti a chi rimane partiamo, davanti schizza Ugo in
macchina per fotografarci sul Trepalle. A Bormio ci scindiamo ancora perché
un gruppetto vuole tentare il Gavia, visto che il tempo sta migliorando e
si sono aperti squarci di sereno. Io sarei per andare con loro, ma la maggioranza
decide per il no e m?inchino al suo volere.
Scendiamo giù verso Tirano attraverso gli interminabili tunnel (che
palle!) e dopo Grosio deviando a sinistra, ci facciamo quella chicca chiamata
Mortirolo. Non male per chiudere in bellezza, in cima tutti sono di nuovo
belli carichi ed euforici.
Foto come piovesse e sosta mangereccia nella piccola trattoria subito dopo
la vetta, dove gli pseudogays Tullo, Gabriele e Massimo danno sfogo alle loro
più turpi libidini, mimando sconci atti sessuali? mentre i ?normali?
a tavola si pappano delle lasagne, ma papparsi lasagne precotte sul Mortirolo
è mica tanto normale, non credete? Non infierisco su questi gusti barbari
perché anch?io ho fatto parte di questo gruppo.
Poi, nella tortuosa discesa, ancora tempo per qualche foto in movimento ed
infine a Breno, l?ultima definitiva scissione. I più frettolosi vogliono
prendere l?autostrada e vanno, noi, che non a caso siamo rimasti i cinque
dello staff più l?amico bresciano che ci accompagnerà fino in
tangenziale, continuiamo per la strada normale, scendendo via Mantova, Ferrara
e Ravenna, fino a Forlì, lungo la così chiamata transpolesana,
una direttrice scorrevolissima e scevra di traffico.
Giunti finalmente nel zitadòn, pensiamo di immortalare l?evento facendoci
fotografare da un incauto passante, fieramente impettiti, davanti al palazzo
di vetro della Fiera. Un?immagine da consegnare alla storia.
Comunque, ironia a parte, siamo appagati e felici, soddisfatti che tutto sia
filato liscio e, rassicurati dai messaggi telefonici sul rientro di tutti
a casa propria, guadagniamo il nostro nido, separandoci però con un
latente messaggio celato nello sguardo. A rivederci alla prossima avventura!
Manlio.
Qualche cifra e curiosità sulla Grande Rotta.
(I dati sui consumi sono stati rilevati con la mia BMW R 1150 GS Adventure)
Totale Km. percorsi 2.363 (previsti 2.369, il chilometraggio curiosamente collima, ma è un fatto casuale, infatti al percorso originale sono stati aggiunti e tagliati alcuni tratti).
Totale litri di carburante consumati: 122
Media chilometri/litro: 19,36 (questo rilevamento è sufficientemente attendibile perché la media oraria è stata piuttosto bassa per quasi tutto il viaggio).
Totale olio motore consumato: 550 gr.
Totale passi superati: 26 (calcolando dal livello del mare il dislivello totale dei passi ammonta a 47.200 metri).
Numero di volte che siamo passati a 2.000 metri e oltre: 12
Per ulteriori info: Bmw
Moto Club Romagna