PIRENEIAN EXPRESS 2007

by Lukino (UV)

Venerdì 1 giugno 2007.

Dopo giorni, mesi, anni di attesa, finalmente l’agognato giorno designato per la partenza è arrivato. E’ l’inizio del Pireneian Express, l’avventura motociclistica che ci porterà sulla cresta dei Pirenei, percorrendoli nella loro interezza da Huesca a San Sebastian e ritorno, 2.680 km a cavallo delle vette ispanico-francesi. Ma facciamo un po’ d’ordine.

Le previsioni meteo per la giornata del 1 giugno non ci fanno sperare in una soleggiata giornata di primavera. Da Ravenna fino al passo del Muraglione, tempo grigio, uggioso, non troppo caldo ma comunque ancora asciutto. Arrivati al passo lo scenario propone un bel passaggio sotto un cielo plumbeo. Un centauro previdente (o no…) ha optato per la E45 convinto di riuscire ad evitare il peggio (ma anche lui si prenderà la sua dose di acquetta). Ci si infila la tuta da pioggia, si sigillano le borse e si parte alla volta di Civitavecchia, dove il traghetto di attende (se arriviamo in orario) per portarci a Barcellona. Durante il tragitto, quasi vicini alla meta, ci cucchiamo 2 ore di pioggia definibile “a secchiate” che ci lascia basiti e che rallenta un po’ l’andatura. Riusciamo comunque a prendere il traghetto in orario, senza troppo asfissiarci nella stiva. L’euforia monta, cavalca l’onda del mare (forza 6/7 con onde definibili “impegnative” anche per i nostri stomaci da marinai) e ci porta in Spagna.

A Barcellona raduniamo i mezzi fuori dal traghetto ed appena usciti dall’approdo, notiamo un “ragazzONE” con KTM aranciONE ed uno strisciONE dipinto in albergo recante la scritta “welcome motoprollo” (notate gli aggettivi e i sostantivi terminanti con “one”: chi conosce Andrea non potrà che definirlo… “ONE”). E’ come se fossimo a casa, una parte di noi (e che parte!!) era già in Spagna a preparare l’arrivo per gli altri. Lo speciale benvenuto inietta gli animi di una buona dose di allegria, e di buon passo partiamo alla volta di Huesca, incantevole cittadina posta proprio ai piedi dei Pirenei e che ci lancerà alla volta di San Sebastian e quindi delle coste Atlantiche.

Quella di Huesca è una notte travagliata. Dobbiamo ancora abituarci ai ritmi spagnoli, con pranzo e cena slittati avanti anche di un paio d’ore, ma soprattutto la stanchezza ed il viaggio movimentato sul traghetto, hanno lasciato il segno. Una birra fredda, un paio di bicchieri di Sangria, una minerale da frigo hanno contribuito a spedire al Pronto Soccorso il nostro MP, che fortunatamente ha la scorza dura e che si riprenderà facilmente, anche perché non possiamo concederci il lusso di perdere un giorno e, a patto di legarlo sulla sella e trainare la moto, saremmo partiti ugualmente. Questo “scossone” convincerà il malcapitato a bere acqua fuori frigo per il resto del viaggio, alcolici zero (no, dico ZERO!) e cibi mangiati con calma (si narra che, nonostante l’allarme sia rientrato, MP beva acqua fuori frigo anche a casa).

Lasciata alle spalle l’avventura di Huesca, ci dirigiamo verso Pamplona, percorrendo le pendici dei Pirenei, con sali e scendi che diventano prima colline, poi montagne. Campi di grano biondo e pronto per la mietitura, profumi di estate e di sole: questa sarà praticamente l’unica mattina che riusciamo a vedere l’amato disco dorato. Lo scenario è da quadro: strade sinuose che attraversano i campi per arrampicarsi lungo i pendii dolci e verdi; paesini arroccati ai piedi di cornicioni di roccia. Qui vale la pena fermarsi, fissare la videocamera alla moto ed iniziare a fare un po’ di riprese. Ed infatti iniziamo a girare un po’ di on board: di solito è il buon GPS che monta dietro ad uno di noi e lascia la moto ferma per riprenderci mentre guidiamo la nostra strada. Quest’anno, a causa del tempo inclemente, le riprese in stile GPS sono molto poche (direi 1 se non ricordo male) mentre io sono riuscito a filmare 90 minuti di on board con telecamera fissata sulla borsa da serbatoio e MP con telecamera fissata al braccio sinistro. In tutti e due i casi le riprese sembrano venute bene, speriamo che GPS riesca ad utilizzarle per il solito filmato.

La strada per Pamplona ci porterà a visitare il Castello di Loarre e il Castello di Xavier. Due monumentali opere d’arte che non si può mancare di visitare. Situati in posizioni strategiche e con una vista mozzafiato sulla valli circostanti, sono delle fortezze affascinanti e magnifiche.

Ma di veramente speciale, rimane il monastero di San Juan de la Peña, come speciale è la strada che abbiamo percorso per arrivarvi.

Come si può notare, la costruzione è stata “appoggiata” alla parete di roccia verticale di una montagna, la quale praticamente fa da schiena all’edificio. L’interno è caratterizzato da soffitti di mattoni a volta, molto suggestivi. Purtroppo tutto il complesso, che originariamente prevedeva tetti di legno, è stato distrutto da 3 giorni e 3 notti di incendi durante i quali si sono persi tutti gli affreschi che arricchivano le pareti del monastero. Pensate che la leggenda vuole che all’interno dell’edificio sia stato custodito persino il Santo Graal. Ora il monastero è meta turistica ma rimane molto suggestivo, soprattutto per un riuscito gioco di luci ed ombre che illuminano le volte, i pochi frammenti di affreschi rimasti e lo stupendo chiostro esterno. Dietro al chiostro è presente una fonte di acqua potabile che sgorga direttamente dal fianco della montagna.
Lasciamo il monastero per dirigere le moto verso Roncisvalle.

Il cielo è nuvoloso ma fortunatamente la pioggia non cade. Il passo è avvolto da una serie di nuvole basse che gli donano un’aria misteriosa. La strada è talmente sinuosa ed appagante che decidiamo di percorrerla un paio di volte. Iniziamo a sondare il terreno, le prime timide curve, vediamo la strada arrotolarsi lungo la montagna, piegare e ripiegare su se stessa. La temperatura delle gomme inizia a salire, l’asfalto tiene, la moto scalpita e smania sotto la mano che si fa sempre più pesante e che prontamente apre il gas per lasciare scorrere nei cilindri un po’ di fuoco. Anche gli animi più pacati, quelli devoti alla regola del “chi va piano va sano e lontano” cedono alla tentazione: iniziano i primi allunghi, le prime curve fuori dalla moto, anche se il peso delle borse si fa sentire e quindi va di conseguenza domato il cavallo. La fila si allunga, ci si perde di vista lungo il percorso, chi tira più e chi meno, ma alla fine siamo tutti li, nel giro di mezzo minuto, arrampicati lungo la montagna, divorando l’asfalto, 10 moto, 10 cavalieri, un solo passo. All’arrivo a Roncisvalle gli animi sono talmente infuocati da riuscire a vederlo negli occhi. Risate, strette di mano, allegria e buonumore: anche questo è andare in moto. Lo avremmo rifatto migliaia di volte ad aver avuto il tempo, ma le lancette ci dicono che Pamplona ci attende, che verranno altri passi da divorare che ci sarà un momento per godere anche in futuro. Ci facciamo convincere ed abbandoniamo l’impresa.

Arriviamo a Pamplona che è sera inoltrata, come per tutte le altre tappe. Tanto qua prima delle 23 non si mangia quindi la giornata si allunga di conseguenza. Riusciamo ad orientarci a fatica nella città, noi di solito siamo abituati a muoverci in luoghi più “provinciali” ma alla fine troviamo l’albergo. Scarichiamo i cavalli dal loro peso e ci godiamo un meritato riposo. La tappa del giorno seguente sarà più leggera e ci porterà sulle coste Atlantiche, quindi riusciremo anche a visitare il centro di Pamplona nella mattinata seguente.

Tra 1 mese ci sarà la festa di San Firmino durante la quale le strade della città di riempiranno di uomini e tori. Meglio visitarla ora, si gira meglio e si corrono meno pericoli! Nella strada principale, adibita a passeggio, c’è un monumento rievocativo della sagra. Giriamo sotto un cielo plumbeo che non promette nulla di buono e, vestendo i panni dei turisti, ne approfittiamo per qualche scatto e qualche acquisto, per far ricordare a casa che non ci dimentichiamo mai di loro. Oggi i chilometri sono solo 200, con trasferimento veloce senza troppi sali e scendi per arrivare a vedere il mare. San Sebastian sarà la nostra meta. Una volta scaricate le borse in albergo è previsto anche uno sconfinamento in Francia per visitare Biarritz (non ho ancora capito perché ci siamo andati, ma fa lo stesso).

San Sebastian è un città incantevole. Perla del turismo degli anni ‘20, con costruzioni imponenti e prestigiose, che arricchiscono i dolci pendii fino alla spiaggia. L’insenatura è protetta da 2 promontori e il mare è dolce e calmo sulla costa. Le onde formano un semicerchio uniforme che lentamente lambisce il litorale, il rumore della risacca è lieve, il sapore dell’aria è salmastro e si respira un forte odore di salsedine

Il tempo peggiora, se mai fosse stato possibile. L'indomani il cielo è plumbeo e la partenza avviene sotto un’acqua scrosciante. Proprio ora che dobbiamo percorrere tanti chilometri di curve e passi per arrivare a Bielsa ed al suo bramato Parador. Dopo qualche ora, fortunatamente, la pioggia cessa di cadere. Il percorso prevede il passaggio da Lourdes ed il valico di vari passi a cavallo tra Francia e Spagna. Sarà una giornata emozionante.
Procediamo con ordine partendo da Lourdes.

Forse chi c’è stato capisce cosa sto per scrivere. Per quelli che, invece, non ci sono mai andati, consiglio vivamente di farlo. Lasciando perdere il fattore religioso, l’aria che si respira è fuori da ogni realtà. I fedeli sono tutti in un rigoroso silenzio, il torrente che scorre davanti alla grotta dove si dice sia apparsa la Beata Vergine, nonostante sia tumultuoso, non fa rumore. Silenzio. Solo un eterno, pesante silenzio. Ognuno va a Lourdes con il proprio carico di problemi, con le proprie piaghe, con le proprie speranze. La piramide delle priorità personali cambia improvvisamente. Ti guardi attorno, tocchi la sofferenza ma senti anche la speranza. Sei fortunato solamente perché sei li in piedi, i tuoi piedi, e non costretto su di una sedia a rotelle od una lettiga; puoi guardare con i tuoi occhi, sentire con le tue orecchie e capire quello che ti scorre davanti. A questo punto, quello che poco fa ti sembrava silenzio, non è più tale: è un brusio che mano a mano cresce dentro al petto e diventa un urlo che passa dal cuore ed esce dagli occhi sotto forma di lacrime. Non pensavo si arrivasse a tanto, ma quando sei li, ti si chiude qualche cosa nella gola, pensi a quello che hai fatto, a chi ti ama e ti sta vicino ed inconsapevolmente, che tu sia credente o meno, inizi a pregare, a ringraziare oppure semplicemente a pensare. Eravamo presenti tutti e 10, ma è come se fossimo entrati uno alla volta per strade differenti, poche parole, pochi sguardi. Si fa fatica a scrivere quello che la mente ed il cuore hanno percepito, ma spero di aver reso l’idea. Lourdes è da vedere almeno una volta nella vita, per avere il privilegio di riviverla con i ricordi, come ho fatto io scrivendo queste parole, ma portandola nel cuore per sempre.

Tornando a elucubrazioni molto più terrene, dirigiamo i mezzi attraverso i passi e la Val D’Aran per raggiungere la meta del giorno. Il meteo è variabile, sole, nuvole, pioggia e chi più ne ha più ne metta: noi non ci facciamo mai mancare niente. Un po’ di riprese on board per documentare i nostri sali e scendi. Per raggiungere la Val D’Aran ci arrampichiamo per una strada interrotta da lavori di adeguamento. Il risultato è che sulla cima siamo costretti a smontare le borse, attraversare sulla terra lo sbarramento fatto con barriere di cemento e rimontare il tutto dall’altra parte. Ovviamente, tutta questa operazione, è stata fatta sotto un sole cocente, non vi dico la sudata!. Tra oggi e domani cavalcheremo i Pirenei sulle nostre moto, toccando le cime più alte. Il passo sul “Col du Tourmalet” si trasforma in un incubo a 2.114 metri di altitudine. La pioggia la fa da padrone e, come se non bastasse, la strada è di continuo attraversata da rivoli di fango dovuti ai lavori di ampliamento della sede. In cima siamo dentro ad una nuvola, visibilità pressoché zero, 3 gradi di temperatura, pioggia mista a neve. Velocità di crociera: 20/25 km/h, con i piedi per terra per evitare di stendere la moto. Giù dal passo il tempo volge al meglio, quindi riusciamo a toglierci da dosso le tute inzuppate ed ad asciugarci un pochetto godendoci il meraviglioso paesaggio.

Valli verdissime, pendii morbidi e ricoperti da soffici prati. Cime ancora innevate. Lo spettacolo è bellissimo. Il colore predominante è il verde della natura ed il grigio dell’asfalto. Fortunatamente non piove anche se il cielo rimane coperto. Saliamo tutti compatti, una moto dietro l’altra, senza particolari allunghi o imprese. E’ bello anche godersi il viaggio tutti assieme, vedendo come procede la colonna di centauri, anche se il passo comunque è bello allegro e non ci annoiamo di certo. Sali, scendi, piega e ripiega: la migliore sinfonia per un motociclista. Procediamo sui vari passi lentamente, parcheggiando in cima le moto per qualche scatto e per respirare un po’ di aria fresca e pulita. Procedendo sempre di buon passo, incrociamo qualche sperduto paesino, case di roccia, viottoli ciottolati e chiese romaniche. Abbiamo anche provato a visitarne una ma, ahimè, era chiusa. Oggi faremo proprio una scorpacciata di montagne ma soprattutto ci faremo una bella bevuta d’acqua fino all’arrivo a Bielsa, sempre per non farci mancare niente!.

Qui ci attende una notte ed una cena in un Parador, la catena di alberghi di lusso spagnoli, ricavati in antichi manieri, rifugi e rocche. Ne vedremo un altro da fuori, sito a Cardona e ricavato appunto all’interno della rocca soprastante la città. Nel nostro caso, l’albergo si trova adagiato sul fondo di una valle ad alta quota, attorniato dalle cime innevate dei Pirenei. Lo spettacolo è mozzafiato. Si possono vedere le innumerevoli sorgenti d’acqua che solcano i fianchi di roccia, una vegetazione lussureggiante ma soprattutto un assoluto silenzio. L’aria è frizzante, ha appena smesso di piovere e le moto, che ormai sono ridotte in uno stato improponibile, riposano sotto il porticato in attesa di essere cavalcate il giorno seguente. E’ ora di dare loro un po’ di manutenzione: una pulitina ai fari, alla strumentazione ma soprattutto una bella ingrassata alla catena: con tutta l’acqua che abbiamo preso la "poverina" è secca ed insabbiata come il deserto. Per i fortunati possessori di "bicilindrici a cardano", è ora di dare un’occhiata al livello dell’olio, siccome si dice siano ghiotti di tale prelibatezza da non potere mai fare a meno di bersene un mezzo chiletto. La cena è strabiliante, come la nostra fame, e quindi ci diamo da fare per spazzolare tutto quello che ci viene servito.

Qui GPS pensa ad un riuscito cambio di programma: anziché fermarsi a dormire a Cardona, e raggiungere Barcellona la mattina del giorno seguente, propone di puntare direttamente alla destinazione, per poterla visitare con calma a “bocce” ferme. L’idea sembra buona e poi, dopo tanti chilometri e tanta acqua, l’idea di lasciare la moto ferma in garage alletta tutti quanti e in fondo sono solo 90 km in più da fare: per centauri scafati quali noi siamo, sono uno scherzo. Tempo un paio di telefonate e prenotiamo subito un albergo a Barcellona, siccome prevediamo di arrivare a sera inoltrata. Si parte dunque, destinazione Barcellona passando da Cardona. Il cielo questa mattina sembra sereno, si può addirittura vedere l’azzurro e qualche nuvoletta transita senza lasciare traccia.

A Cardona visitiamo la rocca, nella quale è stato ricavato il Parador descritto poche righe sopra. Notate il tipo di restauro del porticato ritratto nella seconda foto: in Spagna troveremo questa metodologia di restauro anche per altri monumenti. Il nuovo riprende il vecchio per stile e forma, ma è volutamente realizzato con materiali moderni, in modo da creare uno "stacco" netto tra le due strutture: metodologia apprezzabile che integra, senza rovinare, la visione d’insieme. Ovviamente non potevamo farci mancare qualche goccia di pioggia prima del nostro arrivo sulla costa mediterranea. 
Arriveremo a Barcellona, perdendoci nel suo traffico, ma soprattutto in quello della sua tangenziale, alle 22.30, sudati, sfiniti ed ovviamente affamati (d'altronde erano "solo" 90 km in più da fare...). Lasciamo le moto in un parcheggio coperto a pagamento (vista la tariffa, accettano anche donazioni di organi, oltre alle maggiori carte di credito), scarichiamo le borse in albergo, una bella doccia rinfrescante e siamo pronti per affrontare la città.

Definirla poliedrica è riduttivo. A Barcellona c’è posto per tutto e per tutti. Un’onda di anime travolge La Rambla, la passeggiata principale dove se ne vedono di tutti i colori. Lo spagnolo si confonde con l’inglese, il francese, il tedesco e l’italiano. Dalla Sagrada Familia alle case di Gaudì, uno spettacolo unico ed appagante. Abbiamo visitato il visitabile in un giorno e mezzo, facendo non so quanti chilometri a piedi e sfruttando l’efficientissima metropolitana. Pensate che mi hanno portato al museo dell’arte contemporanea (e lì ho fatto veramente fatica a capire certe opere; per un tecnologico come me l’arte contemporanea rimane sempre abbastanza incomprensibile) ed ad una mostra di Salvador Dalì (quest’ultimo doveva essere particolarmente “scoppiato”). Abbiamo visitato la cattedrale, il centro vecchio della città, una toccata e fuga di qualche minuto alla “Barceloneta” il lungomare al quale dovremmo ispirarci anche noi ravennati per il nostro porto turistico e finalmente abbiamo mangiato le tapas (che non sono donne basse come dice MP, ma antipasti di tutti i tipi) e la paella. Insomma, abbiamo fatto i turisti, portafoglio alla mano, macchina fotografica, telecamera, souvenirs e via andare. Abbiamo strapazzato i nostri piedi, ma ne è valsa la pena. C’è chi come al solito ha voluto approfittare dell’occasione per portarsi a casa anche il gusto della Spagna: alici, aglio, jamon serrano, formaggi. Andrea ha riempito uno zaino di tali prelibatezze, avendo anche l’accortezza di dimenticarlo in albergo: fortunatamente se ne è accorto sulla banchina di imbarco del traghetto, e si è fiondato a riprenderlo sfidando le leggi della viabilità urbana. Abbiamo fatto visita anche allo splendido mercato coperto su “La Rambla” dove colori, sapori e profumi creano un mix inebriante.
Purtroppo è ora di partire. Il traghetto imbarca una quantità infinita di autotreni (2 dei quali adibiti a trasporto bestiame… non vi dico l’odore nella stiva all’arrivo!) e le nostre moto. Il traghetto è praticamente deserto. Inganniamo la noia con tornei di beccaccino e ritorno a briscola, guardando il mare calmo e piatto, passando attraversando le bocche di Bonifacio e sbarcando a Civitavecchia con notevole ritardo. Arriveremo a casa non prima delle 22. Il prossimo viaggio non includerà il traghetto: ne abbiamo fatto una scorpacciata che ci basterà per un anno (tra andata e ritorno, 40 ore!).
L’avventura del Pireneian Express è finita. Il grande viaggio è stato compiuto.